L’area di produzione del radicchio rosso di Treviso è sicuramente una delle più ricche di beni storici e paesaggistici dell’intera pianura veneta e, probabilmente, dell’intera pianura padana.
Ciò è dovuto sia alle sue peculiarità ambientali sia, ancor più, alle vicissitudini storiche che l’hanno interessata e che hanno lasciato tracce più o meno importanti nel paesaggio e nell’assetto territoriale.
Riguardo agli aspetti ambientali va in primo luogo citato il Sile che, come noto, è forse il più lungo fiume di risorgiva d’Europa. La sua importanza naturalistica ha indotto la Regione Veneto ad istituirvi un Parco Regionale. Successivamente, l’intero parco è stato inserito nella rete Natura 2000, a testimonianza della sua rilevanza non solo nazionale.
Ma il Sile, è opportuno ricordarlo, oltre all’indubbio valore naturalistico, è ricchissimo di testimonianze storiche e culturali quali ad esempio i numerosi mulini, gli attracchi per le imbarcazioni, le alzaie lungo le sponde che un tempo servivano al transito dei buoi che trainavano le imbarcazioni (i tradizionali “burci”) controcorrente, le splendide ville sorte lungo le sue sponde, e, più di recente, le industrie molitorie che costituiscono importanti testimonianze dell’archeologia industriale.
Oltre al Sile, dal punto di vista naturalistico non vanno dimenticati altri numerosi corsi d’acqua minori né alcune interessanti zone di risorgiva quali le Fontane Bianche in località Lancenigo di Villorba, o le sorgenti della Storga, nei pressi dell’ex ospedale psichiatrico a Nord di Treviso. Va anche ricordato che, lo stesso fiume Piave, delimita ad Est l’area di produzione.
Infine, sempre per quanto riguarda le zone umide, pur essendo praticamente scomparse le paludi che un tempo occupavano una parte importante della bassa pianura (se si eccettuano alcuni relitti posti lungo il Sile), l’abbandono dell’attività estrattiva in alcune cave di argilla ha consentito di ricreare ambienti simili dal punto di vista naturalistico (ad esempio a Noale, Salzano e Martellago) la cui importanza ha indotto la Regione Veneto ad inserirle nella rete Natura 2000.
Come osservato, la peculiarità del territorio in esame deriva, in notevole misura, dagli interventi che l’uomo ha realizzato nel tempo che, stratificandosi, hanno concorso a determinare il paesaggio attuale.
La più antica testimonianza archeologica ancora visibile nel territorio è, probabilmente, costituita dalle Motte di Castello di Godego, una struttura fortificata risalente forse all’età del bronzo.
Ben più ampie e numerose sono le vestigia di epoca romana. Vanno, in primo luogo, ricordate le strade: la via Postumia, la via Claudia Augusta e la via Aurelia. Vi sono, inoltre, almeno due agri centuriati ancora chiaramente individuabili. Il primo, più ben conservato, è il graticolato romano che si trova ai confini tra la provincia di Padova e di Venezia, compreso tra la Statale del Santo (SS 307-l’antica via Aurelia che congiungeva Padova ad Asolo e costituiva il decumano) e Mirano. Il fiume Musone separava la centuriazione padovana da quella di Altino, di cui permangono solo alcune tracce visibili nell’orientamento delle strade.
Infine, va ricordata la centuriazione di Asolo che giungeva fino all’area delle sorgenti del Sile e i cui segni sono ancora abbastanza ben visibili tra Castelfanco e Riese Pio X.
Non meno rilevanti sono le testimonianze d’epoca medioevale. In primo luogo vanno ricordate Castelfranco, che conserva intatta la sua cinta muraria merlata, e Noale, di cui si è conservata la Rocca dell’originario castello dei Tempesta.
Un altro esempio di castello, sia pure ingentilito nelle forme per la successiva trasformazione in villa, si incontra nella vicina Stigliano. Infine vanno ricordate le torri medioevali presenti a Treviso, tra cui una appartenuta alla famiglia dei Tempesta di Noale (l’attuale campanile del Duomo).
A partire dal Medioevo vengono avviate due iniziative che finiranno per segnare profondamente l’assetto di tutto il territorio: la diffusione dell’irrigazione e la bonifica delle aree paludose. L’opera di derivazione idrica più importante realizzata nell’alta pianura trevigiana fu la Bretella, che attingeva l’acqua dal Piave in località Pederobba per poi condurla, tramite una fitta rete di canali, in tutto il territorio posto tra il Sile ed il Montello.
Lo sviluppo dei borghi rurali, la diffusione delle ville venete, seguì o condizionò in buona parte la struttura della rete di adduzione dell’acqua che, oltre a contribuire allo sviluppo dell’agricoltura, favorì la nascita di attività di tipo protoindustriale (mulini, magli, ecc.).
Come si è detto, in parallelo, nella bassa pianura furono via via bonificate le paludi, intervento che ebbe un notevole incremento a seguito del sempre maggiore interesse manifestato dalla nobiltà veneziana per l’agricoltura. Tale fenomeno fu dettato, come noto, dal venir meno del ruolo del Mediterraneo come via commerciale privilegiata tra l’oriente e l’occidente e dalle crescenti difficoltà incontrate dalla Serenissima a contrastare l’avanzata dell’Impero Ottomano. I patrizi veneziani iniziarono, perciò, a dedicarsi sempre di più alla coltivazione dell’entroterra.
E’ a partire dal ‘500 che inizia la progressiva diffusione della villa veneta che, in origine, costituiva in prevalenza un centro aziendale e, solo successivamente, si trasformò in luogo di svago e di villeggiatura. Le ville presenti nel territorio di produzione del radicchio sono numerosissime ed alcune di grandissima rilevanza architettonica: basti ricordare le due ville palladiane: Emo a Fanzolo (Vedelago) e Corner a Piombino Dese, la villa Marcello a Levada, la villa Corner della Regina a Vedelago, oppure, infine, le numerose ville poste lungo il Terraglio tra Mestre e Treviso.
Accanto alla diffusione della villa vi è stato un interessantissimo fenomeno di realizzazione di parchi che, specie nell’800 e fino ai primi del ‘900 ha visto la creazione di estesi parchi alcuni dei quali sono attualmente fruibili e aperti al pubblico.
A partire dall‘800, in tutta l’area, sono andate diffondendo attività industriali e alcuni opifici che costituiscono attualmente interessanti esempi di archeologia industriale. Si può, ad esempio, ricordare al riguardo la filanda di Salzano o quella di Campocroce a Mogliano Veneto.
Da ultimo vanno ricordati almeno due importanti luoghi di culto: il primo è costituito dal Santuario del Noce e della Visione a Camposampiero legati al culto di S. Antonio; il secondo è la casa natale di S. Pio X a Riese Pio X ed il piccolo museo dedicato al Santo a Salzano.
Per quanto riguarda l’assetto del territorio, se si escludono alcuni episodi, il territorio nell’area oggetto di studio alla fine del secondo conflitto mondiale conservava ancora un preciso equilibrio tra spazi aperti e zone urbane. Il paesaggio rurale aveva mantenuto in buona parte la sua integrità ed il suo assetto strutturale era la risultante dell’integrazione armonica degli interventi effettuati nelle varie epoche storiche. Fino a tale data infatti lo sviluppo industriale aveva riguardato alcuni poli industriali di nuova realizzazione (quali Marghera) oppure le principali città. E’ con l’avvio dello sviluppo economico degli anni ’70 che inizia la dispersione insediativi che finirà per modificare radicalmente il paesaggio fino a stravolgerne radicalmente i contenuti e l’assetto storico e visivo.
Pur non trascurando gli aspetti economici postivi della diffusione nel territorio delle attività economiche e della residenza rispetto alla formazione di grandi concentrazioni urbane, è indubbio che la dispersione degli insediamenti ha degli effetti territoriali, paesaggistici e idraulici tutt’altro che trascurabili. Innanzitutto determina una maggiore occupazione di suolo poiché, a parità di nuove abitazioni e di nuovi posti di lavoro, il consumo di suolo è assai più elevato per la ben nota “density size rule”.
Inoltre, un assetto insediativo disperso ha un impatto paesaggistico assai maggiore e, infine, richiede una maggiore dotazione di infrastrutture a rete. Per quanto riguarda l’attività edilizia e la destinazione ad usi extra-agricoli del suolo, i dati di un recente studio svolto dal Magistrato delle Acque nel bacino scolante della Laguna di Venezia consentono di stimare che nei comuni in cui viene prodotto il radicchio rosso di Treviso IGP le aree edificate sono circa pari al 25% con punte superiori al 40% nei comuni della conurbazione veneziana (Martellago e Spinea), nella città di Treviso e nel comune di Villorba (tab. 4)¹.
Si può anche osservare che, nei comuni in cui è più estesa la percentuale della superficie agricola coltivata ad orticole, la frazione del territorio urbanizzato supera in genere il 20% (Zero Branco, Scorzè, Trebaseleghe e Quinto di Treviso).
L’aspetto più preoccupante, almeno al fine della definizione del tracciato della strada del radicchio rosso di Treviso, è dato dalla dispersione degli insediamenti lungo tutti gli assi stradali, a partire dalle strade statali, per giungere spesso a quelle comunali. In generale tutta la rete viaria che si diparte dai centri abitati risulta oramai più o meno densamente abitata. Considerando che proprio nelle aree urbane si trovano la maggior parte dei beni storici, risulta evidente come sia difficile evitare l’attraversamento di zone in cui i fabbricati (residenziali o non residenziali) esercitano un forte impatto sul paesaggio rurale, fino a determinare una quasi totale perdita di identità.
Un cenno merita, infine, il cosiddetto “passante di Mestre” che interseca tutta la parte Sud-Est dell’area IGP del radicchio di Treviso. Si tratta di un’area molto importante, sia sul piano produttivo che paesaggistico e culturale, che sarà inevitabilmente compromessa dall’opera viaria che avrà ovvie ripercussioni sulla definizione del tracciato della strada del radicchio rosso di Treviso IGP.
1: Nel comune di Istrana la superficie edificata occupa circa il 60% ma ciò è dovuto essenzialmente alla presenza dell’aeroporto.
Supeficie orticole | ||
Comune | ha | % SAU |
Noale | 43,61 | 3,56 |
Treviso | 98,52 | 4,10 |
Martellago | 36,49 | 4,47 |
Quinto di Treviso | 66,75 | 6,69 |
Trebaseleghe | 174,64 | 6,95 |
Zero Branco | 169,22 | 11,40 |
Scorzè | 245,06 | 11,41 |
Pertanto, nel 18% del territorio IGP si coltiva il 58% delle orticole. Per molti versi si può presumere che tale dato rispecchi anche quello relativo alla diffusione del radicchio. I dati riportati in tab.1 pongono altresì in evidenza che dal 1982 al 2000 la superfici orticola è aumentata di circa il 65% in tutto il territorio delle IGP, ma tale variazione è stata assai più intensa proprio nei comuni dove attualmente maggiore è la diffusione dell’orticoltura.
A fronte di un incremento complessivo delle orticole di 561 ettari, ben 391 (pari al 69%) hanno riguardato i comuni citati in precedenza. Si può anche notare che il maggior sviluppo dell’orticoltura si è avuto, nell’arco temporale compreso tra i censimenti dell’agricoltura del 1982 e del 2000, nei comuni di Trebaseleghe (+152,3 ettari) di Scorzè (+103,8 ettari), di Quinto di Treviso (+48,9 ettari) e di Zero Branco (+42,9 ettari).
La produzione orticola (e presumibilmente anche quella del radicchio rosso di Treviso) si è perciò via via spostata dal suo areale produttivo originario per divenire una realtà consolidata anche nelle zone poste più ad Ovest e a Sud.
Passando a considerare in modo specifico i dati relativi alla produzione del radicchio rosso di Treviso, si osserva (tab.2) che dal biennio 1997-98 al 2004 vi è stato un notevole aumento delle superfici coltivate che sono passate da 1.084 ettari a 2.026 ettari (+186%). La produzione, per effetto del miglioramento delle rese, è cresciuta in modo più marcato andando da un valore medio per il biennio 1997-98 di 81.307 quintali ai 179.664 quintali del 2004.
Tale notevole incremento produttivo ha, però, riguardato in modo più intenso la provincia di Venezia e, in misura minore, quella di Treviso (tab.3). Mentre nel periodo 1997-98 la produzione di radicchio rosso proveniva per il 55% dalla provincia di Treviso e per il 22% da quella di Venezia, nel 2004 il peso delle due province si era di fatto ribaltato: in quella di Venezia è stato prodotto il 48% del radicchio e in quella di Treviso il 35%, mentre le superfici coltivate sono oramai analoghe.
Tale dato è per certi versi preoccupante poiché la zona di produzione del radicchio rosso di Treviso si sta allontanando progressivamente dal suo areale originario e il radicchio viene, con ogni probabilità, coltivato puntando sempre più sulla quantità che sulla qualità.